Tamburellava,
impaziente, con l’indice della mano sul consunto tavolaccio di legno dietro il
quale era seduto. Nel frattempo osservava lo zotico in piedi di fronte a lui.
Dall’esterno penetravano sommessi rumori di stoviglie e pentole.
Un minuto prima
aveva sentito aprirsi la porta. Sollevando lo sguardo dai suoi carteggi, si stupì di vedere quell’uomo di media
statura, vestito di braghe lise e una camicia di tela, che richiudeva la porta
di legno dietro di sè senza proferire parola.
Lo stava ancora
fissando. Dacchè aveva chiuso la porta era fermo impalato, teneva con entrambe
le mani il cappello di paglia; gli occhi, rivolti verso il basso su un punto
indefinito del pavimento in terra battuta. Di tanto in tanto, l’uomo, alzava
quel tanto che bastava per incrociare lo sguardo fisso che gli veniva rivolto.
Da dietro la
scrivania scattò in piedi: “Stupido caprone! Imbecille figlio di uno storpio!
Parla o vattene!“. Lo zotico, indietreggiò di mezzo passo, sbattendo sulla
porta con una spalla. Cercando intanto di aprire la porta senza girare le
spalle agli occhi penetranti che ancora lo fissavano.
Prima che la
porta sbattesse alle spalle del fuggitivo l’uomo rimasto nella stanza gridò:
“Mandami quell’imbecille dell’oste!”.
Non fu
necessario girare in torno al tavolo e chiamare l’oste di persona, come aveva
cominciato a fare pensando che le sue grida si fossero perse in quella stanza
odorosa di umidità.
L’oste entrò, la faccia lucida di sudore e
l’aspetto trasandato dei pochi unti capelli.
“Emminentissimo,
” disse con il capo chinato come se da dietro avesse ricevuto una scoppola.
“Taci oste!”
l’uomo si risedette sulla sedia appoggiandosi allo schienale “ Non rivolgermi i
titoli di un cardinale”. Guardò severamente il poverertto che sudando si
stringeva nelle spalle.
“Mi avevi assicurato che entro lo zenith di
questa mattina avrei trovato la merce che ti ho chiesto ” giunse le mani sul
ventre “invece ho incontrato uno zoppo, un cavatore mutilato, e quel figlio di
cane con gli occhi bovini e le gote rosse”.
“Sì, Signore
era mio figlio, su mio incarico umilmente desideravo sapere se mangiavate in
stanza” alzò lo sguardo “i vostri uomini stanno già” abbassò lo sguardo
“consumando e mi hanno mandato da voi, sapete”, asciugò il sudore che colava
dalla fronte sul viso con un cencio che portava in tasca “sapete, per il
vitto”.
Una risata
sonora di risposta lo interruppe, “siete un oste così insignificante da non
saper parlare chiaro per chiedermi il giusto per il vostro lavoro?” abbassò lo
sguardo sui fogli che aveva sparpagliato davanti “- Un padre codardo come Voi, non poteva che
avere un figlio di tali fattezze!” s’alzò dalla sedia camminando fino a
trovarsi accanto all’oste. “Mangerò con gli altri, e pagherò subito quanto
chiedi per i topi che avrai infilato nella pignatta spacciandoli per
cacciagione, ma bada oste” disse abbassandosi di parecchi centrimetri per avere
la faccia alla stessa altezza di quella dell’altro “se stasera non troverò il
soldato che mi serve, giacerò con tua figlia senza pagarle il giusto”.
Uscì dalla
stanza soddisfatto per aver terrorizzato l’oste con l’unica minaccia efficace:
non ricevere nemmeno un sesimo.
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