mercoledì 18 luglio 2012

Le prime vittime


Il Capitano aveva avuto bisogno di affrettare i tempi per recarsi a Venezia. Per dare meno nell’occhio avevano percorso le strade del Ducato di Milano in cui godevano di una immunità incondizionata. Il Capitano, percorrendo quei luoghi, non aveva bisogno di qualificare il suo accento spagnolo e le discrezione delle loro azioni non davano nell’occhio. Quattro cavalieri e cinque appiedati che risalivano la sponda di lecchese del Lariano aveva incuriosito, comunque i monelli di strada.
immagine presa dal blog "creative family" una miniera di informazioni sulla storia locale


 
Risalirono fino alla dogana del Ducato di Milano che immetteva in un territorio formalmente appartenente alla Repubblica delle Tre Leghe ma di fatto sotto il controllo Spagnolo. Incrociarono l’avanguardia dell’esercito Lanzichenecco che scendeva verso Milano.
Entrati in quel territorio confinante a sud con la Serenissima, si diressero a Morbegno con l’intenzione di percorrere la via Priula ed entrare in territorio Venezianano da un passaggio meno sorvegliato.
Arrivati a Morbegno il piano prevedeva di unirsi alla compagnia di un Mercante bergamasco, che rimpatriava. Il tutto era stato da tempo pattuito percorrendo vie ignote al capitano. Ricoprire il ruolo di scorta armata era una consuetudine diffusa e sebbene in questo caso eccessivamente numerosa e ben equipaggiata, li avrebbe in qualche modo resi meno sospetti alla dogana.
 La primavera ancora acerba li aveva ostacolati al passo San Marco, la neve ancora alta e la sfortuna della pioggia li aveva fatti rallentare notevolmente, ora con il pantano del bosco, e alla cima con il freddo e il vendo montano.
Scendendo verso il fondo valle, cominciarono a manifestati su due soldati gli stati febbrili della peste.
La presenza del mercante, della sua colonna di muli con i basti carichi di tela di lino San Gallo, risultarono credibili agli occhi dei doganieri. Non si trovò nulla da dire sulla comagnia dei soldati che rimasero in disparte fingendo di occuparsi dei muli e del carico.
I malati spossati dalla febbre sempre più alta non potevano camminare, fu dunque fatta una lettiga con rami di pino per portarli nella “squadra di Sotto” del Comune di Averara. Morirono in gran fretta. Prima che il Capitano gli desse l’estrema pietà.
Servirono diversi sesini, e molte minacce per evitare che fossero denunciati dall’oste che li aveva accolti. I corpi furono bruciati con tutti i miseri averi. Essendoci giù dall’anno precedente un editto di restrizione agli spostamenti dei forestieri in valle, venne deciso di non ridiscendere la valle Torta dopo aver accompagnato il mercante alla sua dimora in località Taleggio, ma di proseguire per la valle successiva e discendere lo stretto sentiero che costeggiava il fiume Brembilla. I radi abitati rurali avrebbero garantito più discrezione.

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