Il Capitano
aveva avuto bisogno di affrettare i tempi per recarsi a Venezia. Per dare meno
nell’occhio avevano percorso le strade del Ducato di Milano in cui godevano di
una immunità incondizionata. Il Capitano, percorrendo quei luoghi, non aveva
bisogno di qualificare il suo accento spagnolo e le discrezione delle loro
azioni non davano nell’occhio. Quattro cavalieri e cinque appiedati che
risalivano la sponda di lecchese del Lariano aveva incuriosito, comunque i
monelli di strada.
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immagine presa dal blog "creative family" una miniera di informazioni sulla storia locale |
Risalirono
fino alla dogana del Ducato di Milano che immetteva in un territorio
formalmente appartenente alla Repubblica delle Tre Leghe ma di fatto sotto il
controllo Spagnolo. Incrociarono l’avanguardia dell’esercito Lanzichenecco che
scendeva verso Milano.
Entrati in
quel territorio confinante a sud con la Serenissima, si diressero a Morbegno
con l’intenzione di percorrere la via Priula ed entrare in territorio
Venezianano da un passaggio meno sorvegliato.
Arrivati a
Morbegno il piano prevedeva di unirsi alla compagnia di un Mercante bergamasco,
che rimpatriava. Il tutto era stato da tempo pattuito percorrendo vie ignote al
capitano. Ricoprire il ruolo di scorta armata era una consuetudine diffusa e
sebbene in questo caso eccessivamente numerosa e ben equipaggiata, li avrebbe
in qualche modo resi meno sospetti alla dogana.
La primavera ancora acerba li aveva ostacolati
al passo San Marco, la neve ancora alta e la sfortuna della pioggia li aveva
fatti rallentare notevolmente, ora con il pantano del bosco, e alla cima con il
freddo e il vendo montano.
Scendendo
verso il fondo valle, cominciarono a manifestati su due soldati gli stati
febbrili della peste.
La presenza
del mercante, della sua colonna di muli con i basti carichi di tela di lino San
Gallo, risultarono credibili agli occhi dei doganieri. Non si trovò nulla da
dire sulla comagnia dei soldati che rimasero in disparte fingendo di occuparsi
dei muli e del carico.
I malati
spossati dalla febbre sempre più alta non potevano camminare, fu dunque fatta
una lettiga con rami di pino per portarli nella “squadra di Sotto” del Comune
di Averara. Morirono in gran fretta. Prima che il Capitano gli desse l’estrema
pietà.
Servirono
diversi sesini, e molte minacce per evitare che fossero denunciati
dall’oste che li aveva accolti. I corpi furono bruciati con tutti i miseri
averi. Essendoci giù dall’anno precedente un editto di restrizione agli
spostamenti dei forestieri in valle, venne deciso di non ridiscendere la valle
Torta dopo aver accompagnato il mercante alla sua dimora in località Taleggio,
ma di proseguire per la valle successiva e discendere lo stretto sentiero che
costeggiava il fiume Brembilla. I radi abitati rurali avrebbero garantito più
discrezione.
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